Oświęcim e Brzezinka (Auschwitz e Birkenau)
La visita dei campi di concentramento e sterminio di Auschwitz e Birkenau (questi i nomi dati dai tedeschi) richiedono una preparazione ed una passione tali da superare lo shock di quanto ci si appresta a scoprire. Come tanti che hanno visto questi luoghi e hanno provato a misurarsi con quanto è successo qui, non trovo le parole mie per poter raccontare tutto questo.
Lo faccio solo con le immagini e attraverso le parole di Primo Levi. Dunque...
SE QUESTO E' UN UOMO
"Sapete come si dice <<mai>> nel gergo del campo?
<<Morgen früh>>, domani mattina."
<<Morgen früh>>, domani mattina."
"Distruggere l'uomo è stato difficile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti..."
Il treno
"La portiera fu aperta con fragore, il buio echeggiò di ordini stranieri, e di quei barbarici latrati dei tedeschi quando comandano, che sembrano dar vento ad una rabbia vecchia di secoli."
Non siete più a casa
"Ed è questo il ritornello che da tutti ci sentiamo ripetere: non siete più a casa, questo non è un sanatorio, di qui non si esce che per il Camino (cosa vorrà dire? lo impareremo bene più tardi)."
Le scarpe
"Né si creda che le scarpe, nella vita del Lager, costituiscano un fattore d'importanza secondaria. La morte incomincia dalle scarpe: esse si sono rivelate, per la maggior parte di noi, veri arnesi di tortura, che dopo poche ore di marcia davano luogo a piaghe dolorose che fatalmente si infettavano. Chi ne è colpito, è costretto a camminare come se avesse una palla al piede (ecco il perché della strana andatura dell'esercito di larve che ogni sera rientra in parata); arriva ultimo dappertutto, e dappertutto riceve botte; non può scappare se lo inseguono; i suoi piedi si gonfiano, e più si gonfiano, più l'attrito con il legno e la tela delle scarpe diventa insopportabile. Allora non resta che l'ospedale: ma entrare in ospedale con la diagnosi di <<dicke füsse>> (piedi gonfi) è estremamente pericoloso, perché è ben noto a tutti, ed alle SS in specie, che di questo male, qui, non si può guarire."
Destino
"Se fossimo ragionevoli, dovremmo rassegnarci a questa evidenza, che il nostro destino è perfettamente inconoscibile, che ogni congettura è arbitraria ed esattamente priva di fondamento reale. Ma ragionevoli gli uomini sono assai raramente, quando è in gioco il loro proprio destino: essi preferiscono in ogni caso le posizioni estreme; perciò, a seconda del loro carattere, fra di noi gli uni si sono convinti immediatamente che tutto è perduto, che qui non si può vivere e che la fine è certa e prossima; gli altri, che, per quanto dura sia la vita che ci attende, la salvezza è probabile e non lontana, e, se avremo fede e forza, rivedremo le nostre case e i nostri cari."
Inverno
"Noi sappiamo che cosa vuol dire, perché eravamo qui l'inverno scorso, e gli altri lo impareranno presto. Vuol dire che, nel corso di questi mesi, dall'ottobre all'aprile, su dieci di noi, sette morranno. Chi non vorrà, soffrirà minuto per minuto, per ogni giorno, per tutti i giorni: dal mattino avanti l'alba fino alla distribuzione della zuppa serale dovrà tenere costantemente i muscoli tesi, danzare da un piede all'altro, sbattersi le braccia sotto le ascelle per resistere al freddo. Dovrà spendere pane per procurarsi guanti, e perdere ore di sonno per ripararli quando saranno scuciti. Perché non si potrà più mangiare all'aperto, dovremo consumare i nostri pasti nella baracca, in piedi, disponendo ciascuno di un palmo di pavimento, e appoggiarsi alle cuccette è proibito. A tutti si apriranno ferite sulle mani, e per ottenere un bendaggio bisognerà attendere ogni sera per ore in piedi nella neve e nel vento."
Lavarsi
"In questo luogo, lavarsi tutti i giorni nell'acqua torbida del lavandino immondo è praticamente inutile ai fini della pulizia e della salute; è invece importantissimo come sintomo di residua vitalità, e necessario come strumento di sopravvivenza morale."
Negare il consenso
"...perché il Lager è una gran macchina per ridurci a bestie, noi bestie non dobbiamo diventare; che anche in questo luogo si può sopravvivere, per raccontare, per portare testimonianza; e che per vivere è importante sforzarci di salvare almeno lo scheletro, l'impalcatura, la forma della civiltà. Che siamo schiavi, privi di ogni diritto, esposti a ogni offesa, votati a morte quasi certa, ma che una facoltà ci è rimasta, e dobbiamo difenderla con ogni vigore perché è l'ultima: la facoltà di negare il nostro consenso."
Nessuno
"Un malato rantolava in una delle cuccette superiori. Mi udì, si sollevò a sedere, poi si spenzolò a capofitto oltre la sponda, verso di me, col busto e le braccia rigidi e gli occhi bianchi. Quello della cuccetta sotto, automaticamente, tese in alto le braccia per sostenere il corpo, si accorse allora che era morto. Cedette lentamente sotto il peso, l'altro scivolò a terra e vi rimase. Nessuno sapeva il suo nome."
Babele
"La confusione delle lingue è una componente fondamentale del modo di vivere di quaggiù; si è circondati da una perpetua Babele, in cui tutti urlano ordini e minacce in lingue mai prima udite, e guai a chi non afferra al volo. Qui nessuno ha tempo, nessuno ha pazienza, nessuno ti dà ascolto; noi ultimi venuti ci raduniamo istintivamente negli angoli, contro i muri, come fanno le pecore, per sentirci le spalle materialmente coperte."
La voce del Lager
"Noi ci guardiamo l'un l'altro dai nostri letti, perché tutti sentiamo che questa musica è infernale.
I motivi sono pochi, una dozzina, ogni giorno gli stessi, mattina e sera: marce e canzoni popolari care a ogni tedesco. Esse giacciono incise nelle nostre menti, saranno l'ultima cosa del Lager che dimenticheremo: sono la voce del Lager, l'espressione sensibile della sua follia geometrica, della risoluzione altrui di annullarci prima come uomini per ucciderci poi lentamente."
La struttura del Lager
La struttura del Lager
"Essi sono il tipico prodotto della struttura del Lager tedesco: si offra ad alcuni individui in stato di schiavitù una posizione privilegiata, un certo agio e una buona probabilità di sopravvivere, esigendone in cambio il tradimento della naturale solidarietà coi loro compagni, e certamente vi sarà chi accetterà. Costui sarà sottratto alla legge comune, e diverrà intangibile; sarà perciò tanto più odioso e odiato, quanto maggior potere gli sarà concesso. Quando gli venga affidato il comando di un manipolo di sventurati, un diritto di vita o di morte su di essi, sarà crudele e tirannico, perché capirà che se non lo fosse abbastanza, un altro, giudicato più idoneo, subentrerebbe al suo posto."
Se fossi Dio
Kuhn è un insensato. Non vede, nella cuccetta accanto, Beppe il greco che ha vent'anni, e dopodomani andrà in gas, e lo sa, e se ne sta sdraiato e guarda fisso la lampadina senza dire niente e senza pensare più niente? Non sa Kuhn che la prossima volta sarà la sua volta? Non capisce Kuhn che è accaduto oggi un abominio che nessuna preghiera propiziatoria, nessun perdono, nessuna espiazione dei colpevoli, nulla insomma che sia in potere dell'uomo di fare, potrà risanare mai più?
Se io fossi Dio, sputerei a terra la preghiera di Kuhn."
Non ritorneremo
"Ma dove andiamo non sappiamo. Potremo forse sopravvivere alle malattie e sfuggire alle scelte, forse anche resistere al lavoro e alla fame che ci consumano: e dopo? Qui, lontani momentaneamente dalle bestemmie e dai colpi, possiamo rientrare in noi stessi e meditare, e allora diventa chiaro che non ritorneremo.
Noi abbiamo viaggiato fin qui nei vagoni piombati; noi abbiamo visto partire verso il niente le nostre donne ed i nostri bambini; noi fatti schiavi abbiamo marciato cento volte avanti e indietro alla fatica muta, spenti nell'anima prima che dalla morte anonima. Noi non ritorneremo. Nessuno deve uscire di qui, che potrebbe portare al mondo, insieme col segno impresso nella carne, la mala novella di quanto, ad Aushwitz, è bastato animo all'uomo di fare dell'uomo."
Questa vita è guerra
"Alberto è entrato in Lager a testa alta, e vive in Lager illeso e incorrotto. Ha capito prima di tutti che questa vita è guerra; non si è concesso indulgenze, non ha perso tempo a recriminare e a commiserare sé e gli altri, ma fin dal primo giorno è sceso in campo."
La causa maggiore
"Poiché tale è la natura umana, che le pene e i dolori simultaneamente sofferti non si sommano per intero nella nostra sensibilità, ma si nascondono, i minori dentro i maggiori, secondo una legge prospettica definita. Questo è provvidenziale e ci permette di vivere in campo. Ed è anche questa la ragione per cui così spesso, nella vita libera, si sente dire che l'uomo è incontentabile: mentre, piuttosto che di una incapacità umana per uno stato di benessere assoluto, si tratta di una sempre insufficiente conoscenza della natura complessa dello stato di infelicità, per cui alle sue cause, che sono molteplici e gerarchicamente disposte, si dà un solo nome, quello della causa maggiore; fino a che questa abbia eventualmente a venir meno, e allora ci si stupisce dolorosamente al vedere che dietro ve n'è un'altra; e in realtà, una serie di altre.
Perciò, non appena il freddo, che per tutto l'inverno ci era parso l'unico nemico, è cessato, noi ci siamo accorti di avere fame: e, ripetendo lo stesso errore, così oggi diciamo: <<Se non fosse della fame!...>>"
Arrivare a primavera
"Oggi e qui, il nostro scopo è di arrivare a primavera. Di altro, ora, non ci curiamo. Dietro a questa meta non c'è, ora, altra meta. Al mattino, quando, in fila in piazza dell'Appello, aspettiamo senza fine l'ora di partire per il lavoro, e ogni soffio di vento penetra sotto le vesti e corre in brividi violenti per i nostri corpi indifesi, e tutto è giorno intorno, e noi siamo grigi; al mattino, quando è ancor buio, tutti scrutiamo il cielo a oriente a scrutare i primi indizi della stagione mite, e il levare del sole viene ogni giorno commentato: oggi un po' prima di ieri; oggi un po' più caldo di ieri; fra due mesi, fra un mese, il freddo ci darà tregua, e avremo un nemico di meno."
Fine
"Ecco, ha posato lo sguardo su Schumulek; tira fuori il libretto, controlla il numero del letto e il numero del tatuaggio. Io vedo tutto bene, dall'alto: ha fatto una crocetta accanto al numero di Schmulek. Poi è passato oltre.
Io guardo Schmulek, e dietro di lui ho visto gli occhi di Walter, e allora non ho fatto domande."
Elenco
Vero mezzogiorno un maresciallo delle SS fece il giro delle baracche. Nominò in ognuna un capo-baracca scegliendo fra i non ebrei rimasti, e dispose che fosse immediatamente fatto un elenco dei malati, distinti in ebrei e non-ebrei. La cosa pareva chiara. Nessuno si stupì che i tedeschi conservassero fino all'ultimo il loro amore nazionale per le classificazioni, e, nessun ebreo pensò seriamente di vivere fino al giorno successivo."
La morte solitaria
"L'uomo che morirà oggi davanti a noi ha preso parte in qualche modo alla rivolta. Si dice che avesse relazioni cogli insorti di Birkenau, che abbia portato armi nel nostro campo, che stesse tramando un ammutinamento simultaneo anche tra noi. Morrà oggi sotto i nostri occhi: e forse i tedeschi non comprenderanno che la morte solitaria, la morte di uomo che gli è stata riservata, gli frutterà gloria e non infamia.
Quando finì il discorso del tedesco, che nessuno poté intendere, di nuovo si levò la prima voce rauca: - Habt ihr verstanden? - (Avete capito?)
Chi rispose <<Jawohl>>! Tutti e nessuno: fu come se la nostra maledetta rassegnazione prendesse corpo di per sé, si facesse voce collettivamente al di sopra dei nostri capi. Ma tutti udirono il grido del morente, esso penetrò le grosse antiche barriere di inerzia e di remissione, percosse il centro vivo dell'uomo in ciascuno di noi:
- Kameraden, ich bin der Letzte! - (Compagni, io sono l'ultimo)
Vorrei poter raccontare che fra di noi, gregge abbietto, una voce si fosse levata, un mormorio, un segno di assenso. Ma nulla è avvenuto. Siamo rimasti in piedi, curvi e grigi, a capo chino, e non ci siamo scoperta la testa che quando il tedesco ce l'ha ordinato. La botola si è aperta, il corpo ha guizzato veloce; la banda ha ripreso a suonare, e noi, nuovamente ordinati in colonna, abbiamo sfilato davanti agli ultimi fremiti del morente."
"Distruggere l'uomo è stato difficile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi. Eccoci docili sotto i vostri sguardi: da parte nostra nulla più avete da temere: non atti di rivolta, non parole di sfida, neppure uno sguardo giudice."
Felici alla maniera degli uomini liberi
"Al tramonto, suona la sirena del Feierabend, della fine del lavoro; e poiché siamo tutti, almeno per qualche ora, sazi, così non insorgono litigi, ci sentiamo buoni, il Kapo non si induce a picchiarci, e siamo capaci di pensare alle nostre madri e alle nostre mogli, il che di solito non accade. Per qualche ora, possiamo essere infelici alla maniera degli uomini liberi."
Uomini!
"Quando fu riparata la finestra sfondata, e la stufa cominciò a diffondere calore, parve che in ognuno qualcosa si distendesse, e allora avvenne che Towarowski (un franco-polacco di ventitré anni, tifoso) propose agli altri malati di offrire ciascuno una fetta di pane a noi tre che lavoravamo, e la cosa fu accettata.
Soltanto un giorno prima un simile avvenimento non sarebbe stato concepibile. La legge del Lager diceva: <<mangia il tuo pane, e, se puoi, quello del tuo vicino>>, e non lasciava posto per la gratitudine. Voleva ben dire che il Lager era morto.
Fu quello il primo gesto umano che avvenne fra di noi. Credo che si potrebbe fissare a quel momento l'inizio del processo per cui, noi che non siamo morti, da Häftlinge siamo lentamente ridiventati uomini."
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